Scomporre storie

Come si introduce un personaggio nella storia?

28 Maggio 2021
come si introduce un personaggio

Come si introduce un personaggio che compare all’interno di un romanzo?

Questa è una domanda che frulla spesso nella testa di uno scrittore.

Ecco quali sono, invece, le domande che ti chiedo di porti quando devi introdurre un personaggio nella tua storia:

  • Che ruolo ha all’interno della narrazione? È uno dei personaggi principali o è uno dei minori?
  • In base a questo, quanto devo approfondirlo? Quanto tempo e parole devo dedicargli?
  • Quali sono le caratteristiche rilevanti e funzionali che devo mettere in evidenza?
  • In che modo posso “sparpagliare” queste caratteristiche all’interno della narrazione?

Prima di vedere come possiamo spalmare il personaggio nel romanzo, ho pensato che poteva essere utile attingere dal passato.

 

Come si introduce un personaggio: prima

L’Ottocento è un’epoca florida di descrizioni per svariati motivi. Forse per la scarsa o lenta mobilità: le persone, leggendo, avevano modo di raggiungere e conoscere altri luoghi, altre culture. Avevano più tempo da dedicare alla lettura piuttosto che alla televisione e prestavano particolare attenzione a ogni parola.

E chissà, forse si leggeva anche di più.

Ho ripescato dalla mia libreria alcune opere in cui avevo sottolineato (lo fai anche tu?) dei passaggi che ho apprezzato più di altri, che mi hanno trasmesso sensazioni tangibili e che possono chiarire in parte come si introduce un personaggio nella storia.

La prima citazione viene dal lontano 1851, dalla penna di un autore newyorkese che di certo conoscerai, ma la cui opera, aspramente criticata, segnò la fine della sua carriera letteraria.

[…] il capitano Ahab era sul ponte di comando.

Non pareva avesse segni di comuni malattie fisiche, né di convalescenza. Sembrava un uomo staccato dal palo del rogo, quando il fuoco ha devastato le membra percorrendole tutte senza consumarle e senza portar via una sola particola della vecchia e compatta robustezza. La sua figura, alta e grande, sembrava fatta di solido bronzo e modellata in un indistruttibile stampo, come il Perseo fuso del Cellini. Una cicatrice sottile come una bacchetta, lividamente bianca, si vedeva partire dal mezzo dei capelli grigi e scendere dritta su un lato del volto e del collo, rossigno e bruciato, fino a sparire negli abiti.

Somigliava a quel segno perpendicolare che talvolta s’apre nel tronco dritto e superbo di un grande albero quando è lacerato da un fulmine scagliato dall’alto, che, senza schiantare un solo ramoscello, scortica appena la corteccia e vi traccia un solco, da cima a fondo, prima di sparire nel suolo, lasciando la pianta ancora verde e viva, ma segnata.

Herman Melville, Moby Dick, Mondadori, Milano, 2007, p. 161

Il capitano Ahab è il baluardo del mare, la sua descrizione non poteva che assumere toni cupi e maestosi. L’affacciarsi di questo nuovo personaggio si fa assaporare prima con la sua fama, poi con una descrizione che premia l’attesa e che ne delinea la natura.

Vediamo in Francia cosa accadeva, invece, nel 1831. Al contrario di Melville, un giovane Hugo otteneva il suo primo grande successo.

Era davvero una smorfia meravigliosa quella che risplendeva in quel momento nel buco del rosone. […] Tutti si precipitarono verso la cappella. Ne fu fatto uscire in trionfo il beatissimo papa dei folli. Ma fu allora che la sorpresa e l’ammirazione toccarono il culmine. La smorfia era la sua faccia.

O meglio, tutta la sua persona era una smorfia. Una grossa testa irta di capelli rossi; tra le spalle, una gobba enorme il cui contraccolpo si faceva sentire davanti; un sistema di cosce e di gambe contorte così stranamente che solo al punto del ginocchio potevano toccarsi tra loro, e che, viste di fronte, somigliavano a due falcetti congiunti per il manico; piedi larghi, mani mostruose; e a dispetto di tanta deformità, un certo aspetto terribile di vigoria, di agilità e di coraggio; strana eccezione alla regola eterna per cui la forza, come la bellezza, risultano dall’armonia. Tale era il papa che si erano eletto i folli.

Victor Hugo, Notre-Dame de Paris, La Biblioteca Universale, Torino, 1996, pp. 51-52

Posso quasi vedere Quasimodo mentre osserva la folla.

Mentre Melville si appoggia alle figure retoriche per esprimere l’essenza del capitano Ahab, il cui corpo rivela un passato di tormenti, Hugo è più materialista e avvolge con parole dirette e concrete la figura del gobbo di Notre-Dame, che appare così ancora più mostruoso e radicato nel terreno.

La scelta delle parole giuste per descrivere un personaggio è uno degli strumenti fondamentali per portarlo fuori dalle pagine del libro.

Come si introduce il personaggio in Inghilterra, invece?

L’ebreo Fagin viene dipinto come l’incarnazione dei bassifondi londinesi. Dickens lo presenta in modo cinematografico, come se fossimo davanti al grande schermo. Fa una panoramica della stanza introducendo un ambiente che lo rappresenta, per poi zoomare su un personaggio dall’aspetto raccapricciante.

Le pareti e il soffitto della stanza erano completamente anneriti da un’annosa sporcizia. Davanti al caminetto c’era un tavolo sul quale stava una candela infilata nel collo di una bottiglia di birra, due o tre caraffe di peltro, un pezzo di burro e un piatto. In un tegame che stava sul fuoco ed era assicurato alla mensola con un pezzo di spago, cuocevano alcune salsicce; davanti a queste, con un forchettone in mano, c’era un ebreo raggrinzito molto vecchio, la cui faccia perfida e repellente era seminascosta da un’arruffata capigliatura rossa. Indossava un’unta palandrana di flanella, che gli lasciava scoperta la gola, e sembrava stesse dividendo l’attenzione tra il tegame e uno stendibiancheria dal quale pendevano un gran numero di fazzoletti di seta.

Charles Dickens, Oliver Twist, Feltrinelli, Milano, 2015, p. 86

Sebbene la tendenza dei grandi autori dell’epoca fosse quella di descrivere in blocco il personaggio, tale descrizione ne catturava l’essenza e la trasmetteva in un modo difficile da dimenticare. Ciò non toglie che poi il personaggio venisse sviluppato e portasse a termine il suo arco narrativo.

Sento molti autori chiedersi: come si fa una scheda personaggio, cosa devo considerare, quali aspetti? La fisicità è importante? Devo sapere di che colore ha gli occhi e i capelli, se è grasso, magro, peloso, glabro? Come si introduce un personaggio in modo efficace, quali sono gli elementi da inserire?

Quello che scrivi nella scheda del personaggio serve a te. Puoi inserire ogni minimo dettaglio che ti viene in mente per avere la possibilità di figurartelo nella mente e conoscerlo meglio. Ma è ciò che poi metti in scena di lui a essere determinante per la sua resa.

 

Attenzione ai monoblocchi

Come puoi dare forma al tuo personaggio in modo da renderlo verosimile ed efficace al suo ingresso in scena? Come puoi fare in modo che il lettore abbia l’impressione di trovarsi di fronte a una persona reale?

Non si tratta solo di come si introduce e costruisce un personaggio in modo isolato, ma di come integrarlo con la storia, deve interagire con il contesto.

Oggi, emulare grandi scrittori e creare monoblocchi descrittivi spesso può sviare e appiattire il personaggio. Bisogna farlo con consapevolezza. L’input iniziale devi darlo con maestria, ma non puoi fermarti lì.

Il contesto in cui viviamo è cambiato, la vita è diventata frenetica e il linguaggio si sta assottigliando; ha bisogno di scorrevolezza, precisione e sintesi; di lasciare spazio a intuizione e immaginazione.

La caratterizzazione del personaggio deve essere un divenire all’interno della storia.

Quando Gabriel Prudent si rivolgeva alla giuria le sue mani si aprivano, quando si rivolgeva al sostituto procuratore si chiudevano, talmente contratte da sembrare rattrappite, come se tornassero alla loro vera età. Quando guardava il presidente si bloccavano, quando osservava il pubblico non riuscivano a stare ferme, come due adolescenti sovraeccitate, e quando si rivolgeva all’imputato si giungevano, si rannicchiavano l’una contro l’altra come due gattini alla ricerca di calore. In pochi secondi passavano dalla chiusura alla gioia, dal ritegno alla libertà, poi ripartivano verso una specie di preghiera, di supplica. In realtà le mani non facevano altro che mimare le sue parole.

Valérie Perrin, Cambiare l’acqua ai fiori, edizioni e/o, Roma, 2020, p. 134-135

Quando ho letto Cambiare l’acqua ai fiori, mi sono soffermata molto su questa descrizione. Ti parlavo di monoblocco prima, e questo in un certo senso lo è, ma mette in risalto un solo aspetto del personaggio che è il dettaglio che colpisce la persona che lo osserva. Quindi non solo ci racconta in parte chi sia Gabriel Prudent, ma ci lascia intuire l’intimità di Irène. Del suo aspetto fisico conosciamo solo le mani e il modo in cui le muove, e ci portano a riflettere sul tipo di personaggio che ci troviamo di fronte.

Conosciamo Gabriel Prudent attraverso gli occhi dell’amore, ma anche della razionalità. Irène lo osserva sempre con un’indole moderata e controllata. E il lettore impara tanto di lei quanto di lui, un passo alla volta, con delicatezza.

Mi è capitato di leggere descrizioni minuziose di personaggi, che nel corso della storia non sono riusciti a discostarsi dalla mera elencazione delle doti fisiche e caratteriali a loro attribuite, perché non hanno avuto la possibilità di darne dimostrazione. Manca il ritmo, mancano le emozioni. Perché?

Il rischio di costruire un monoblocco descrittivo è quello di esaurire il personaggio in quelle poche righe e non svilupparlo gradualmente lungo il suo arco narrativo, oltre a non lasciare niente da scoprire al lettore. Dire che Beatrice è bella e gentile non basta, bisogna vedere come mette in pratica la sua gentilezza e come gli altri interpretano la sua bellezza.

A cosa serve dire che Tizio ha gli occhi azzurri, se poi è inutile ai fini della storia?

È meglio lasciare questi dettagli all’immaginario del lettore. Posso descrivere gli occhi di un personaggio in mille modi diversi, anche senza nominarne il colore; a volte spetta al lettore definirli e percepire cosa comunicano.

Quante volte ti sarà capitato di costruirti nella mente il personaggio di un libro che hai letto e apprezzato per svariati motivi, per poi vedere la trasposizione cinematografica ed esclamare: ma non è per niente come me lo ero immaginato!

 

Come si introduce un personaggio: oggi

Come dicevo prima, il personaggio è in divenire all’interno della narrazione. L’obiettivo non è capire come si introduce un personaggio, ma come rivelarlo a poco a poco lungo la storia, proprio come succede nella vita.

Hai mai conosciuto una persona che al momento delle presentazioni, ti ha raccontato tutto di lei? Ok, forse non è così impossibile, ma di certo non capita tutti i giorni.

Le persone sono diffidenti, devono aver fiducia nel prossimo prima di aprirsi completamente o lasciar trasparire chi sono. Perché per i personaggi dovrebbe essere diverso?

Nelle storie avviene uno scambio: il personaggio deve acquisire la fiducia del lettore e viceversa. È un percorso graduale, non violento né aggressivo.

Ecco come puoi fare per spalmare il personaggio all’interno del tuo romanzo.

#DIALOGO

Uno dei modi più efficaci di introdurre e diluire un personaggio nella storia è farlo parlare.

Il dialogo ti catapulta all’interno della scena e del modo in cui il personaggio si esprime. Impari molto da ciò che dice: capisci cosa pensa, come si esprime, in che modo interagisce con chi gli sta di fronte e che rapporto c’è tra i due.

#LINGUAGGIO NON VERBALE

Se al dialogo associ le movenze del corpo puoi creare situazioni interessanti. Ad esempio, puoi fare in modo che ciò che il personaggio dice vada in contraddizione con il linguaggio del corpo: instillerai il dubbio nel lettore, che si chiederà inoltre se l’altro personaggio se ne è accorto.

Suscitare domande è il must have di ogni storia.

#AZIONI E REAZIONI

Metti alla prova il personaggio. Cosa fa? Come agisce? Quali sono le sue reazioni di fronte alle difficoltà?

Pensa solo all’entrata in scena di un super eroe: è nel suo habitat (Gotham city?) e si prodiga per portare la giustizia nella sua città. Chiediti quale caratteristica del personaggio deve emergere nell’immediato. Il resto può aspettare.

Il modo in cui il personaggio si comporta nelle situazioni che si trova a fronteggiare ci racconta molto della sua indole, della sua tenacia, delle sue debolezze e insicurezze.

#AMBIENTAZIONE

Chi l’ha detto che l’ambientazione è importante solo se stai scrivendo un romanzo di fantascienza o un fantasy?

Il mondo narrativo è il luogo in cui vive l’eroe e ci aiuta a definire lui e gli altri personaggi. Puoi fare in modo che il contesto sia espressione delle loro caratteristiche o in contrasto con esse.

 

Personaggio e storia: una cosa sola

In conclusione, per capire come si introduce un personaggio e come si diluisce nella storia, oltre a provare e mettere in pratica queste accortezze, ti consiglio di studiare i libri che ti piacciono e magari sottolineare i passaggi che caratterizzano i personaggi principali: può essere una frase, una battuta di dialogo o un’azione.

Ti renderai conto di quanto, a volte, sia quasi impossibile scindere il personaggio dalla narrazione. I due si compenetrano e l’uno non può fare a meno dell’altro, perché se hai creato una buona storia, il personaggio si adatterà perfettamente a essa e, viceversa, la storia si plasmerà sul personaggio.

Se farai uno studio approfondito delineando passato, presente e futuro del personaggio, anche se non inserirai tutto all’interno della trama, la sua essenza trapelerà e a volte straborderà dalla storia, perché avrai imparato a conoscerlo e a trasmetterlo a poco a poco sul filo della narrazione.

SE QUESTO ARTICOLO TI È PIACIUTO E PENSI CHE POSSA ESSERE UTILE A QUALCUN ALTRO, CONDIVIDILO, MI FARAI FELICE!

Articoli che potrebbero interessarti

Nessun Commento

Lascia un commento