Scrivere descrizioni noiose non sarà più un tuo problema dopo aver scorso questo articolo.
Un paio di settimane fa, ho letto un libro, Il ballo delle pazze, di Victoria Mas, pubblicato da edizioni e/o. Quello che mi ha colpito è il modo in cui l’autrice gestisce proprio le descrizioni.
Ti sarà capitato di accorciare una descrizione (o anche più di una?) che ti sembrava troppo lunga e prolissa per paura di annoiare il lettore.
Se da un lato descrizioni più brevi danno ritmo alla storia, dall’altro tagliarle o abbreviarle troppo potrebbe comportare un grande problema, che ho riscontrato in diversi romanzi che ho letto. La storia potrebbe, infatti, risultare decontestualizzata, povera di quei dettagli che la rendono verosimile.
Sono certa che almeno una volta tu abbia ragionato su questo aspetto: come faccio a rendere meno noiose le descrizioni del mio romanzo?
Quando è troppo o quando è troppo poco?
Ti farò alcuni esempi che, spero, ti faranno vedere le descrizioni da un’angolazione completamente diversa, ma prima alcuni fondamentali.
Come usare le sequenze?
Quando ci approcciamo a un romanzo, noi editor siamo abituati a sezionare il testo in sequenze, quindi a verificare come viene gestito il ritmo.
Come di certo saprai, un testo narrativo può presentare sequenze narrative, descrittive e dialogiche, ognuna delle quali ha una particolarità:
#SEQUENZE NARRATIVE
Sono caratterizzate dalle azioni che compiono i personaggi, sono dinamiche. Nelle scene che compongono le sequenze narrative accadono dei fatti.
#SEQUENZE DIALOGICHE
Lo dice la parola: sono costituite da dialoghi. I personaggi parlano tra di loro (o anche da soli, perché no). Oppure pensano, e in tal caso potrai trovarle sotto il nome di sequenze riflessive.
#SEQUENZE DESCRITTIVE
Sono quelle che interessano a noi oggi, e sono composte prevalentemente da descrizioni.
Cosa significa descrivere nei romanzi di oggi?
Davvero siamo rimasti fermi all’idea che una descrizione sia una parte del testo che deve necessariamente rimanere statica? Che descrive, ad esempio, una stanza, con la sua mobilia, o un personaggio, nel viso e nell’abbigliamento?
Mi perdonerai se banalizzo, ma è per rendere l’idea. Ci sono descrizioni meravigliose che sanno cogliere l’essenza di chi o cosa entra in scena, e diventano indimenticabili.
In questo articolo ho evidenziato gli strumenti che puoi sfruttare per scrivere descrizioni efficaci, dacci un’occhiata: Quando e perché usare la descrizione.
Adesso, però, vorrei focalizzarmi su come descrivere senza annoiare. L’essenza di ciò di cui ti voglio parlare viene perfettamente riassunta da Veronesi, nell’incipit del suo romanzo vincitore del Premio Strega 2020:
Il quartiere Trieste di Roma è, si può ben dire, un centro di questa storia dai molti centri. È un quartiere che ha sempre oscillato tra l’eleganza e la decadenza, tra il lusso e la mediocrità, tra il privilegio e l’ordinarietà, e per adesso tanto basti: inutile descriverlo oltre, perché una descrizione potrebbe risultare noiosa, all’inizio della storia, addirittura controproducente. Del resto, la migliore descrizione che si può dare di qualunque posto è raccontare cosa vi succede, e qui sta per succedere qualcosa di importante.
Sandro Veronesi, Il colibrì, La Nave di Teseo, 2019
Questo passaggio sintetizza bene il succo di ciò che sto per dirti. Il punto è, come dice Veronesi, che “la migliore descrizione che si può dare di qualunque posto è raccontare cosa vi succede”. Fra poco vediamo cosa significa questo concetto.
Vorrei prima attirare la tua attenzione su un dettaglio fondamentale.
Le sequenze a cui ho fatto cenno poco fa si intendono “pure”. Ciò significa che se scrivo una sequenza dialogica, userò esclusivamente il dialogo in quel passaggio. Non ci saranno didascalie o descrizioni. Lo stesso discorso vale per gli altri due tipi di sequenza.
Sequenze descrittive pure venivano usate dagli autori dell’Ottocento per consentire ai lettori di visualizzare cose che probabilmente non conoscevano (sai com’è, non avevano mica Internet).
Se provi a prendere un qualsiasi romanzo moderno, noterai invece che le sequenze non si presentano pure, ma sono degli ibridi. Potremmo addirittura dire che un testo narrativo è composto da un’unica enorme sequenza che include narrazione, dialogo e descrizione in parti diverse, a seconda dell’effetto che si vuole ottenere.
Ma arriviamo al punto: come si evita una descrizione noiosa? Vediamo come fa Victoria Mas:
A Parigi è l’alba. Per le strade la popolazione mattutina calpesta già il selciato. Lungo la Senna e sul canale Saint-Marin decine di lavandaie vanno verso i battelli attrezzati a lavatoi portando sulle spalle sacchi pieni di biancheria di borghesi. Gli straccivendoli, dopo aver passato la notte a cercare merce da rivendere, trascinano le pesanti carrette cariche dei sacchi della raccolta notturna. Agli angoli delle strade si susseguono gli addetti ai lampioni per spegnere manualmente i beccucci a gas. Alle Halles, i mercati generali che Émile Zola definisce il ventre di Parigi, i mercanti scaricano cassette di frutta e verdura, tirano fuori il pesce dal ghiaccio e tagliano la carne. Non lontano, in rue Saint-Denis, così come in rue Pigalle o in rue de Provence, le prostitute aspettano di fare un’ultima marchetta o respingono un cliente ubriaco. Gli strilloni escono dalle tipografie con i pacchi dei giornali che si portano dietro in sacche a tracolla. Nei vari quartieri i primi profumi di pane caldo raggiungono le narici di operai e operaie, portatori d’acqua, carbonai, spazzini e stradini, e tutte quelle figure fanno già vivere Parigi mentre l’aurora comincia a illuminare i tetti.
Victoria Mas. Il ballo delle pazze, edizioni e/o, 2019, p. 105
Cosa puoi imparare da questa descrizione?
Spero tu l’abbia letta con piacere, io la rileggerei all’infinito.
In queste poche righe c’è tutto. Veniamo subito a conoscenza del luogo e dell’ora (“A Parigi è l’alba”).
Le lavandaie cominciano il loro lavoro ai lavatoi, di certo il romanzo non è ambientato ai giorni nostri, e quando vengono citati i borghesi e poi Zola, possiamo essere sicuri di aver individuato il periodo in cui ci troviamo (l’autrice avrebbe potuto palesarlo e dare alcuni dettagli storici, che tuttavia sarebbero risultati didascalici) e il tessuto culturale che ne consegue.
Ma c’è anche un lato povero della città: gli straccivendoli non dormono perché costretti alla ricerca di merce da svendere il giorno dopo, c’è chi spegne e accende i lampioni a gas, c’è profumo di pane, e carbonai, spazzini, stradini ne sentono il profumo mentre la città si sta svegliando.
L’autrice non si limita a descrivere vicoli, strade e abitazioni fatiscenti, oppure ricche, ma trasporta all’interno della scena alcune comparse che nel loro modo di agire descrivono un particolare quadro storico e l’atmosfera che si respira a Parigi.
Poteva essere una descrizione meno dinamica e visiva, come ad esempio: “Era il 1885, il sole stava sorgendo all’orizzonte e illuminava di luce fioca i vicoli in cui i parigini cominciavano a riversarsi per andare al lavoro. Nell’aria si sentiva il profumo del pane appena sfornato e di lì a poco sarebbe stato allestito il mercato, ecc.”.
Suona completamente diversa, non trovi? Qual è il trucco?
Nessun trucco e nessun inganno, in realtà. Si tratta di cogliere quei dettagli che fanno la differenza. Scrittrici e scrittori devono essere buoni osservatori, ma non basta. Ci vuole quel briciolo di sensibilità in più che ti permette di cogliere l’anima di ciò che desideri mettere sulla pagina.
Prova a chiederti: cosa vorrei che il lettore percepisse? Come posso fondere descrizione e narrazione, in modo da scolpire in ogni sua sfaccettatura un personaggio, un luogo, un’epoca?
E ora che ne dici di provare?
Come descriveresti il luogo, l’atmosfera, le donne che vedi nella foto di questo articolo?
Scrivi la tua descrizione nei commenti (ma se sei timida puoi anche inviarmela a linda.rossi@pagineamerenda.com), bastano poche righe per trasmettere sensazioni forti.
E sai una cosa? Credo proprio di avere ciò che fa per te. Sbircia qui, potresti trovare questa idea interessante 😉
2 Comments
La vecchia ambulante col viso segnato e la bocca sdentata sedeva accovacciata sulla via. Appoggiata al muro scrostato dell’emporio offriva a mazzi la sua verdura. Pur nel suo aspetto dimesso, conservava in qualche modo una certa eleganza, un certo garbo , per il cappello a bombetta e i colori degli abiti : il blu, il rosa, l’azzurro tra essi in armonia. La donna giovane, stessi colori, ma più vivi, stesso cappello da cui scendevano lunghe trecce corvine, l’oltrepassò gettandole uno sguardo distratto prima di varcare la porta.
Ciao Alba, grazie per il tuo commento!
Che ne dici di accentuare ancora di più l’effetto di eleganza, mostrandola? Ad esempio, si potrebbe pensare di descrivere il modo in cui l’anziana seleziona i mazzi di verdura che poi porgerà alla signora più giovane: come muove le dita, quali verdure sceglie? Come le porge? In questo modo, non avresti bisogno di dire che lo fa con “una certa eleganza”, ma saresti più specifica e il lettore “vedrebbe” questa eleganza attraverso le movenze della donna.
Mi piace l’immagine dello sguardo distratto finale: trasmette proprio l’indifferenza della donna che le passa accanto.